Lo spazio umano

Michele Nigro
5 min readMay 24, 2020

“Lo spazio umano”

(Educazione al bel ritorno)

Abbiamo goduto alla vista della natura, fatta di piante e animali, che riconquistava quegli spazi occupati dalla prepotente attività umana; ci è piaciuto rivedere i delfini nei porti, l’erba in una Piazza Navona “post apocalittica”, le anatre e i daini camminare per strada al posto nostro, la discesa dei cinghiali nelle metropoli, le meduse e i cavallucci marini in acque calme, le tanto minacciate api… e altri rappresentanti di questa “Arca di Noè di ritorno”. È stato bello e sorprendente annusare di notte l’odore di erba fresca, proveniente dai parchi chiusi, che prendeva il posto del tanfo dei gas di scarico delle auto immobili; purtroppo abbiamo potuto apprezzare tutto questo non perché finalmente abbiamo cambiato vita e ci siamo resi conto del male che stavamo facendo al nostro ambiente, no. Siamo stati costretti a cedere i nostri spazi, a stare fermi per causa di forza maggiore, e nella tragedia (mentre le gente moriva negli ospedali) abbiamo potuto sperimentare la differenza: apprezzare come sarebbe il mondo se l’essere umano fosse in grado di limitarsi, di riappropriarsi dei propri spazi in maniera sobria, di avere un approccio ridimensionato con la biosfera, di stare al mondo senza sgomitare, prevaricare, inglobare, abbattere, schiacciare, stravolgere, deturpare.
Ora che le limitazioni per causa di forza maggiore stanno lentamente finendo e l’uomo ritorna, ahimè, a rioccupare i propri spazi, proprio in virtù della differenza avvertita durante il lockdown, dovremmo chiederci, dovremmo imporci di chiedere a noi stessi: quali sono veramente gli SPAZI UMANI? Le discoteche, i bar, i cinema, le autostrade, le scuole, le spiagge, le chiese? Sì, anche quelli: ne abbiamo bisogno; fanno parte di noi, di questa specie “unica”, della nostra evoluzione tecnologica, delle nostre abitudini “culturali” acquisite negli anni, nei secoli, nel corso dei millenni. Anche se l’antropologo Marc Augé c’ha insegnato che trattasi di non-lieu, “non-luoghi” ovvero di luoghi che, sì, frequentiamo, occupiamo momentaneamente, ne usufruiamo sentendoli nostri, ma che di fatto non c’appartengono, non li possediamo profondamente, non fanno parte della nostra vita, della nostra storia personale se non in maniera indiretta.
“Luogo”, allora, è la nostra abitazione? Certo: a differenza della sala d’attesa di un aeroporto, è modellata a nostra immagine, l’arrediamo in base al nostro gusto, la riempiamo di oggetti che fanno parte della nostra esistenza ed esperienza. Ma che fine fa quell’abitazione quando termina il nostro ciclo di vita su questa terra? Ci segue nell’aldilà? Non proprio. Anche la nostra abitazione (così come il nostro pianeta), che tanto abbiamo amato e che è intrisa del nostro vissuto e che vogliamo credere c’appartenga in eterno, andrà a soddisfare le esigenze abitative di altri individui dopo di noi, forse di lontani parenti o addirittura di estranei. In alcuni casi l’abitazione viene abbattuta quando troppo mal ridotta e non è possibile restaurarla. Alla fine, quindi, nulla c’appartiene, neanche il nostro corpo che dopo morti lasciamo qui, nella terra, perché servirà a creare altre energie, nuovi legami chimici e a costruire altra materia. Viviamo in “spazi di passaggio”. Tutto è impermanente.
Allora di quali spazi umani da rioccupare stiamo parlando sulla scia di questa quarantena? Forse di “spazi interiori”, immateriali, quelli sì invendibili, non cedibili a terzi, immortali, eterni, irripetibili? Chissà. Una risposta definitiva non c’è, non può esserci: al di là degli sforzi di filosofi e uomini di fede. In fin dei conti, ed è onesto che sia così, ognuno ha una risposta che vale per se stesso. Ma nel frattempo, come pensiamo di nutrire questi spazi umani interiori? Durante la quarantena molti di noi hanno cercato, nonostante tutto, di frequentare il bello con vari mezzi: la lettura, la musica, il buon cinema, il web in generale e i “social” che amplificano le nostre frequentazioni positive e costruttive…

Il delfino che ritorna nella baia non inquinata dai motori delle barche, lo fa istintivamente, ritorna “naturalmente” lì dove avverte l’assenza di pericoli e di fattori ostili al proprio benessere, contrari alla propria natura. Noi dove ritorneremo naturalmente nei prossimi mesi? Verso quali spazi ci dirigeremo? Dov’è che ci sentiamo al sicuro dalla morte dell’anima? Con che tipo di bellezza, lì fuori, ci ricongiungeremo? Qual è la natura del nostro ritorno? (Al netto di mascherine e guanti gettati per strada, non facendo presagire nulla di buono!). Durante il lockdown abbiamo avuto nostalgia del bello o solo delle pizzerie (che pure belle sono, e soprattutto “buone”)? Ci consigliano (ed è un ottimo consiglio non solo per motivi sanitari) di ritornare verso i luoghi della nostra tradizione culturale, di “viaggiare italiano”; sembra quasi di assistere a un “lockdown inverso”: si passa dal “consiglio” di stare a casa al consiglio di uscire per andare verso paesaggi tipicamente italici. Ma noi individualmente quali posti sogniamo o abbiamo sognato di visitare durante la quarantena? Quali luoghi ci fanno vibrare nel pensiero ancor prima di raggiungerli? Rispondere a questa domanda importante, e complessa se ci discostiamo dalle mode e dalle facili soluzioni imposte dalla pubblicità e cominciamo ad ascoltare il nostro mondo interiore, significa imparare a conoscere qual è il vero spazio umano. Il nostro spazio umano equilibrato: dove siamo felici nell’intimità e non solo soddisfatti materialmente. Uno spazio essenziale, non scellerato ma vero, che non insegue progressi, che non prevarica, uno spazio non prepotente, non invadente, ma che semplicemente “è”. Sta lì e ci attende. Quale sia quello più autentico, spetta a ognuno di noi scoprirlo modificando la qualità delle proprie scelte, prendendo in considerazione le avvisaglie che da tempo ignoriamo. O forse avremo bisogno di una “lezione” ancor più drammatica e irreversibile.

versione pdf: Lo spazio umano. Educazione al bel ritorno

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“2022: I sopravvissuti” (Soylent Green)

immagini: dal film 2022: i sopravvissuti (Soylent Green)

Michele Nigro, nato nel 1971 in provincia di Napoli, vive a Battipaglia (Sa) dal 1978. Si diletta nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi, articoli per giornali e riviste… Ha diretto la rivista letteraria “Nugae — scritti autografi” fino al 2009. Ha partecipato in passato a numerosi concorsi letterari ed è presente con suoi scritti in antologie e periodici. Nel 2016 è uscita la sua prima raccolta poetica — che ama definire “raccolta di formazione” — intitolata “Nessuno nasce pulito” (edizioni nugae 2.0). Ha pubblicato “Esperimenti”, raccolta di racconti; il mini-saggio “La bistecca di Matrix”; nel 2013 la prima edizione del racconto lungo “Call Center”, nel 2018 la seconda edizione “Call Center — reloaded” e la raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”. Nel 2019, per i tipi delle Edizioni Kolibris, viene pubblicata la raccolta di poesie intitolata “Pomeriggi perduti” (collana di poesia italiana contemporanea “Chiara”), che è anche il nome del suo blog. È del 2020 il volume 2 della raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”. Mostra tutti gli articoli di michelenigro2

Originally published at http://pomeriggiperduti.home.blog on May 24, 2020.

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Michele Nigro

Amo la lettura e quindi i libri, mi diletto nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi, articoli. Il mio blog è https://pomeriggiperduti.home.blog/